Quello del tartufaio è un mestiere antico, del quale non si può risalire con certezza alla origini. Come abbiamo detto, addirittura i Babilonesi nel 3000 a.C., come del resto Greci e Romani, conoscevano funghi appartenenti a questa famiglia, ma si trattava di terfezie provenienti dall’Africa e dall’Asia, la cui ricerca differiva da quella come la conosciamo oggi.
Quello che è certo è che fin dagli inizi del ‘700 i Savoia ingaggiavano abili “trifolau” per battute alla ricerca del fungo, quello della nostra penisola questa volta, a cui prendevano parte nobiluomini giunti da ogni parte d’Europa per assistere alla caccia: d’altronde quella del tartufaio è una passione davvero eccitante, quanto lo è per un bambino la caccia al tesoro.
Ciononnostante richiede competenze possono rendere il mestiere particolarmente difficile, soprattutto per quanto concerne il rapporto col cane.
Se innatamente si possiede la capacità di entrare in forte empatia col compagno a quattro zampe, al punto da coglierne i comportamenti quasi a livello inconscio, per un tartufaio è tutto veramente molto semplice: i due si uniscono in una specie di simbiosi che li estranea dal resto del mondo, spinti dall’obiettivo comune di rinvenire quanti più tuberi possibile, divertendosi.
Se non si ha dimestichezza con l’animale invece il discorso è completamente diverso e si finisce molto facilmente per commettere gravi errori, spesso irrimediabili, nell’interpretare il linguaggio del cane.
E’ vero che l’aiuto di fido è fondamentale, ma non sufficiente: il tartufaio esperto conosce ogni centimetro dei boschi dove raccoglie, pianta per pianta, mentre è in grado di riconoscere quasi istintivamente se una zona può essere adatta allo svilupparsi del fungo o meno.
Quando entra nell’ambito mentale della ricerca, il resto del mondo sembra svanire, il tartufaio divenenta di poche parole in quanto la sua attenzione è richiamata da un numero considerevole di fattori, dalla relazione col cane a tutto ciò che succede nell’ambiente in cui si trovano.
Quella del tartufaio è un arte, fatta di intuizioni, attenzione, memoria ed esperienza, e come in ogni artista è richiesta concentrazione.
Gli strumenti del mestiere sono solitamente un giubbotto con parecchie tasche e una vanghetta di piccole dimensioni, al fine di non rovinare l’habitat del tartufo durante lo scavo.
Giunto sul posto il trifolau osserva attentamente il comportamento del cane e lo interpreta quasi in maniera inconscia: esistono mille modi per l’animale di scavare, di segnalare, di annusare e di muoversi, ognuno dei quali lascia intendere un certo tipo di segnale.
Il cane si muove, eccitato, col naso puntato verso l’alto al fine di captare la scia odorosa del prezioso fungo, che lo trascinerà, come nei cartoni animati, fino all’esatto punto dove si cela il tartufo.
A questo punto solitamente interviene il tartufaio per estrarre il caropoforo ma talvolta (per quanto riguarda i tartufi neri che crescono ad una profondità nettamente minore rispetto ai bianchi) lascerà che sia il cane ad estrarlo con delicatezza e a riporlo esso stesso nel palmo del tartufaio, ottenendo un pezzetto di cibo prelibato e, ovviamente un infinità di coccole!!